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all them witches 2018

All Them Witches – ATW: Recensione

Dalle sponde del fiume Cumberland, Nashville, Tennessee, tornano gli All Them Witches di Micheal Parks Jr. e compagni, dopo “Sleeping Through The War”, uscito un annetto e mezzo orsono: 18 mesi che sembrano però un’eternità, visto quello che ci propongono gli estrosi e dotatissimi americani con questo “ATW”.

Difatti, vengono messe in secondo piano le trame lisergiche ed acide, come quelle più stoner e galoppanti dei precedenti lavori, in favore di un qualcosa che assomiglia molto a una rivendicazione di sangue e origini: “ATW” è una dimostrazione di indiscutibile talento, che si formalizza attraverso un canovaccio dalla matrice blues dalla quale traspaiono innegabile passione, eclettismo, poliedricità e personalità, senza però dimenticare quell’approccio da jam session fatto di sudore e cuore. E devozione.

Lo si capisce subito con l’opener Fishbelly 86 Onions, dove i reef della nervosissima chitarra e il loop sincopato di batteria fanno da tela per pennellate vibranti e rabbiose, rappresentate dall’assolo distorto e dai tasti dell’hammond che ci riportano su orbite sonore, se non squisitamente Doors, sicuramente dal gusto ‘60/’70; se Workhorse ha Dna rustico e country, 1st vs. 2nd pompa benzina nel motore ruggente, metallico e già ben collaudato, mentre Half-Tongue ha anima sporca e blues, con l’organo che ha il compito di ripulire il tracciato per rendere agevoli le curve più paraboliche.

Diamond, cupa e atmosferica, è uno di quei pezzi che avrà sicuramente il giusto posto nelle scalette live, vista la verosimile efficacia resa dal vivo, con il suo sapore da Stati del Sud, le sue pennate stoppate e nevrotiche e una batteria che scandisce imperturbabile i tempi di gioco. Harvest Feast ha ancora sangue blues e soul, i tratti somatici Americana e una coda psichedelica e incantatrice, che si prolunga sia in HTJC come soprattutto nella conclusivia Rob’s Dream: surreale, fluida, col suo strascico di chitarra che ci riporta con la mente alla vecchia scuola di decenni e decenni indietro nel tempo.

Piacerà ai fan più ortodossi questa virata dalla furia delirante degli esordi verso lidi seppur sempre energetici, più basici, puliti e forse sicuri? Quello che è certo è che un lavoro del genere, anche solo per la sua componente qualitativa, non può che accrescere in termini di giudizio il valore assoluto della band americana.

Anban