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Gypsy, di Lisa Rubin (2017)

Tra le serie infuocate di quest’estate c’è “Gypsy”. Titolo accattivante per la storia di una delle più disturbate tra le psicoterapeute che si potrebbero incontrare, che infrange ogni etica ed ogni deontologia, spinta da istanze borderline-voyeuristiche e tardo-adolescenziali.

Naomi Watts spesso affida al proprio volto angelico a personaggi ambigui e qui mischia la cattiva ed erotica madre di “Two Mothers” alle ombre saffiche di “Mulholland Drive”, al servizio di una serie irritante. Vagamente somigliante a “Big little lies”per ambientazione sociale e per l’attenzione della rischiosissima noia quotidiana e familiare della casalinga, che può indurre ad errori fatali, “Gypsy” si sviluppa come un giallo, creando una suspence sempre più perversa. Indugiando sul lesbo, su sguardi fatali da soft-porno, su attività oniriche più adatte al divano di Sasha Gray che a quello dello psicoanalista, ci si chiede chi mai potrebbe rivolgersi ad una simile terapeuta (o poveretto chi lo farebbe).

Il tema, poi, dello sdoppiamento di personalità, sottolineato da ridicoli primi piani spezzati da specchi, è al limite dell’idiozia, come la trasformazione in Diane, mediata dall’indossare una catenina adolescenziale, che fa sentire tanto selvaggia la protagonista. “Gypsy” ci mostra un serial killer dell’anima, una manipolatrice onnipotente ed anaffettiva in preda delle proprie crisi ormonali. Fa sorridere e a volte francamente ridere (ma non per divertimento).

Se tutto sommato i primi episodi creavano qualche attimo di suspence, dal settimo in poi le idee vacillano, aggrapandosi a masturbazioni sotto la doccia (che fa tanto “American Beauty”) e, proprio questo episodio, sembra la copia di “Last night”, di Massy Tadjedin (quasi un plagio).

Un presunto thriller psicologico dove non si capisce dove si voglia arrivare, né di cui si avvertiva la necessità; sembra ideato da qualcuno formatosi con i film di De Palma che al massimo potrebbe girare una puntata di “Tempesta d’amore”. Naomi Watts (pettinatissima) sembra sempre un po’ a disagio, il povero Billy Crudup si impegna tantissimo, ma nulla può vincere una sceneggiatura così brutta.

Il Demente Colombo