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King Krule – The Ooz: Recensione

Incontrandolo al supermercato, oppure a una festa, senza sapere bene chi sia – con quei suoi capelli rossi, l’incarnato pallido, i lineamenti del viso così gentili e l’accento cockney – difficilmente si potrebbe pensare sia un piccolo genio. Eppure Archy Ivan Marshall si ritrova ad essere l’enfant prodige della scena musicale inglese a soli 23 anni.

Nella sua biografia pare non esserci una data precisa in cui ha iniziato a comporre. Stando a quello che dice, registra suoni, voci e rumori fin da tenerissima età. Ha pubblicato il suo primo lavoro a 16 anni sotto il nome di Zoo Kid. Non ancora ventenne ha dato vita al moniker King Krule, una sorta di Mr. Hide di Archy, col quale realizza il primo acclamatissimo disco: “6 Feet Beneath The Moon”. Tutto il mondo si accorge così del talento cristallino del musicista londinese, perfino David Letterman, che lo invita ad esibirsi nel suo Late Night Show.

Il 13 di ottobre viene dato alle stampe “The Ooz”, il secondo attesissimo capitolo della storia dell’oscuro KK. Le 19 canzoni – quasi tutte di breve durata, molto eterogenee tra loro e ricche di diverse influenze – regalano all’ascoltatore la sensazione di ritrovarsi in una dimensione onirica, dai contorni sfuocati, in cui vengono a mancare tutti i punti di riferimento spazio-temporali; una via di mezzo fra il Sottosopra di Stranger Things e il Wonderland di Alice. La musica è un innovativo ed originalissimo miscuglio di hip-hop (nella sua versione più grime/estlondinese), jazz, new wave, blues e trip-hop, frutto di un orecchio onnivoro e un appetito insaziabile guidati da un’anima inquieta. I testi raccontano in maniera quasi compiaciuta, di una decadenza meschina, sporca e purulenta dei rapporti umani, sia famigliari che sociali. Il cantato baritonale, graffiante e roco, a metà tra Tom Waits e Nick Cave, aggiunge tinte grigio fumo e sentori di Gin alle atmosfere notturne.

Il risultato della ricerca musicale di Archy Marshall è innovativo e profondamente contemporaneo. La frammentazione che pervade l’LP e il conseguente disorientamento che coglie l’ascoltatore sono il riflesso della precarietà e insicurezza della società odierna. Sentimenti descritti grazie ad un personalissimo sound iperattivo, bulimico e affetto da disturbi d’ansia perfettamente in linea con le turbe psichiche tipiche della nostra epoca.

Non sempre di facile ascolto, sicuramente di difficile assimilazione (anche per la lunghezza totale), “The Ooz” è indubbiamente l’album che meglio descrive lo Zeitgeist del 2017. Almeno un ascolto dovete darglielo, tassativo.

Lesterio Scoppi