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Ty Segall and White Fence – Joy: Recensione

L’iperproduttività di Ty Segall è manifesta e non accenna a placarsi, tra lavori solisti, collaborazioni, e quant’altro. Il rischio, in questi casi, è che l’estrema prolificità trovi di converso un livellamento verso il basso della qualità del prodotto.

Questo lavoro con White Fence, al secolo Tim Presley, a 6 anni di distanza dal precedente “Hair”, non vuole e non ha i crismi per essere un masterpiece, tantomeno una pietra miliare dell’alt-rock o di particolare sperimantazione, ed il motivo è semplice: la componente di scazzo al suo interno, è alta, altissima. Solo che quando allo scazzo ci abbiniamo talento, creatività, concretezza, vigore, anche il risultato ne trae evidenti benefici.

“Joy” tocca, prende e si butta in tutte le fonti del guitar rock, dal blues salta al garage partendo dai 60’s in avanti, con le inclinazioni più estrose e grunge di Segall. Presley di par suo mitiga il tutto con lisergie psichedeliche e lo-fi, mentre la sua voce si annoda come un serpente su quella del compare.

Tra pulsioni e scatti asimmetrici, il prodotto è variegato e intrigante. Si passa dalle percussioni swing dell’inizio con, nomen omen, Beginning a una ballata come A Nod, che parte monkees-beatlesiana per poi spettinarsi e ricominciare a ondeggiare, e tra intermezzi totalmente fini a loro stessi come Room Connector, Rock Flute o Prettiest Dog, eccoci a pezzi ora incalzanti come Other Way, ora lunghi e dal sapore di esperimento tribale come She is Gold o la bella e acustica My Friend a chiudere i giochi, impreziosita da un assolo blues dalle venature folk e country.

Ty e Tim in Hey Joel, Where You Going With That? rincorrono l’un l’atro dicendo (e dicendosi) “Rock is dead”, ma ci sentiamo di dar torto ad entrambi: probabilmente il rock – per come lo vorremmo – sta sì agonizzando, ma la missione di gente come loro è quella di dargli sempre, e sempre più, botte di adrenalina e defibrillazioni.

Anban